Oggi, a fronte di un’accresciuta consapevolezza della complessità del proprio ruolo genitoriale, è diventato ancora più difficile chiarire dentro di sé cosa significa essere un buon genitore, o, per esprimerci con le celebri parole di Winnicott, un genitore “sufficientemente buono”.
La letteratura, sia in ambito scientifico, sia in ambito divulgativo, offre spunti e approfondimenti ricchissimi per riflettere su questo compito meraviglioso e insieme assai complesso.
Mossi da un dubbio sul nostro operato, da un momento critico che stiamo vivendo con i figli, da una semplice sana necessità di confronto, troviamo tutte le informazioni più varie ed articolate, ma che, a volte, possono moltiplicare i nostri interrogativi. Che genitore sono? Mi riconosco autorevole? Autoritario? Permissivo? Trascurante? Sono empatico? Sono ansioso? So ascoltare? Ma, prima di tutto, sono all’altezza del mio ruolo?
Le coppie adottive, di fronte al loro progetto di vita impegnativo, che prevede l’accoglienza di minori con gravi ferite abbandoniche e storie problematiche, sono state giustamente valutate e solo dopo essere stati dichiarati idonei, i due hanno potuto diventare genitori…e tutti gli altri, i genitori biologici, sono idonei?
Il bimbo nasce per rispondere ad un bisogno o ad un sano desiderio?
Si tratta ovviamente di domande provocatorie, che non vogliono puntare il dito su nessuno, quanto piuttosto stimolare una riflessione su cosa permetta ad un genitore di svolgere più serenamente e quindi proficuamente il proprio “mandato”.
Di che cosa ha bisogno un figlio? Si legge che i compiti di un genitore possono essere così sintetizzati:
- deve saper attendere alle esigenze primarie (fisiche e alimentari) del bambino,
- saper organizzare l’ambiente intorno a lui sia esso fisico che emozionale,
- aiutarlo a prendere contatto con gli altri, siano essi coetanei o adulti,
in poche parole, deve prendersi cura del proprio bambino accompagnandolo per mano nel mondo e cogliendo il momento in cui spingerlo verso gli altri e lasciare la sua mano.
Una giovane ragazza, parlando del buon lavoro fatto dai propri genitori nei suo confronti, definisce così, durante una riflessione pubblica, in che cosa è consistito: esserci sempre quando ho bisogno e “non esserci” quando devo farcela da sola.
Mi sembra una sintesi perfetta, adatta ai figli di ogni età e a ciascun tipo di genitore. Perfetta quanto impegnativa, ovviamente.
Sicuramente le nostre caratteristiche di personalità, la nostra storia personale influenzano e a volte determinano inesorabilmente i nostri comportamenti, ma alla base di questa capacità di sintonizzazione con i propri figli c’è, prima di tutto, il profondo desiderio di superare i limiti, di muoversi nonostante questi, di avventurarsi nella conoscenza dell’altro. Forse essere buoni genitori significa anche non avere paura di fallire.
Ogni figlio chiede un’attenzione piena e autentica, che siano accettati i suoi sentimenti, che si abbia fiducia in lui, chiede di essere riconosciuto e ascoltato. Non chiede al genitore di non avere difetti, di non avere dubbi, di non sbagliare, chiede di avere fiducia nel proprio ruolo
Lo psicoterapeuta può essere d’aiuto ai genitori, principalmente per recuperare le proprie risorse spesso bloccate da “cattive abitudini”. Fare un’esperienza di ascolto incondizionato, trovare uno spazio di accoglienza per sé stessi in cui far crescere quella nei confronti dei propri figli.