Rabbia a scuola: come gestirla

Rabbia a scuola: come gestirla

CHE COS’E’ LA RABBIA?

Nella prospettiva della teoria dell’attaccamento, l’aggressività viene considerata come una componente innata; il comportamento aggressivo è attivato da situazioni ambientali percepite come un pericolo o una minaccia. La rabbia non ha di per sé una valenza negativa, al contrario può svolgere una funzione adattiva, in quanto permette di perseguire diversi scopi come ridurre lo stress, coprire la paura o il dolore, attirare l’attenzione e vanificare la sensazione di non essere ascoltati, punire l’altro mettendolo nella condizione di sperimentare la stessa difficile emozione, ricercare un cambiamento negli altri, ottenere le risposte desiderate. Se questa diviene pervasiva e non si limita al contesto che l’ha prodotta, se risulta essere sproporzionata rispetto all’evento scatenante e se non produce vantaggio in chi la sperimenta, allora si configura un disagio. La rabbia diviene un’emozione negativa quando diventa l’unico modo che il soggetto ha per cercare protezione, conforto, sicurezza.

Nel corso del tempo il soggetto ha imparato a utilizzare la manifestazione di emozioni negative esagerate per ottenere gratificazione, conforto, protezione e sicurezza.

DOVE SI MANIFESTA?

I primi problemi emergono di frequente con l’inserimento del bambino a scuola, ambiente che lo porta a confrontarsi con le prime regole di convivenza sociale, ponendolo spesso di fronte a compiti e ad attività strutturate, mai affrontate prima, o delle quali aveva avuto parziale esperienza in famiglia. Le famiglie, spesso, chiedono aiuto a seguito dell’ingresso nel mondo della scuola sebbene anche prima i bambini mostrassero segnali di fatica relazionale. È nella scuola primaria che viene valutato il livello cognitivo, la capacità di attenzione e relazione, la gestione delle emozioni e del controllo, rispettare i turni, accettare la frustrazione, regolare i comportamenti e apprendere.

La loro fatica a stare seduti, la loro irrequietezza, le chiacchiere, le continue interruzioni, i pianti improvvisi o i comportamenti aggressivi di fronte alla frustrazione non sono altro che manifestazioni d’ansia. Il fatto di dover condividere la maestra con altri bambini e il fatto che la stessa maestra non sia sempre tutta per loro diventa molto difficile da comprendere e tollerare quindi attiva in questi bambini la sensazione di essere abbandonati, non visti. Ecco, perché, ad esempio frequentemente le insegnanti riferiscono che questi bambini diventano particolarmente irritati nel momento in cui esse stesse si rivolgono alla classe o cominciano un’interazione con un altro bambino.

Quanto all’apprendimento, essi sono talmente assorbiti dalla preoccupazione nei confronti della relazione che non hanno altra energia per imparare.

Molti genitori tendono ad attribuire alle performance scolastiche del figlio una grande importanza, come se queste fossero un indicatore diretto della loro capacità di essere stati buoni genitori e non come rimando del grado di apprendimento del minore; a loro volta i figli potranno sviluppare con facilità la tendenza ad equiparare il voto che prendono in classe con il proprio valore personale.

COSA FARE?

Il lavoro terapeutico con il bambino e la famiglia, non può essere disgiunto da un buon lavoro di cura della rete (in particolare scolastica) del bambino. È fondamentale trasmettere alle insegnanti l’importanza di andare oltre la didattica e l’apprendimento; spesso è molto difficile accettare l’idea che un bambino non impari a leggere, scrivere, contare come gli altri.

Il bambino rischia di veder sostenute le sue strategie primarie all’interne della classe, provando fatica a sostituirle con altre più funzionali; la famiglia, invece, potrebbe demotivarsi e perdere fiducia perché non vede miglioramenti e perché continua a sentirsi giudicata. Riuscire a costruire relazioni di fiducia con la scuola e tra la scuola e la famiglia, è uno degli obiettivi terapeutici.

 

Dott.ssa Carmela Santaniello

Psicologa Psicoterapeuta

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