Per omosessualità si intende il comportamento o l’attrazione sentimentale e/o sessuale tra individui dello stesso sesso. È una categoria, un’etichetta, che viene assegnata da un paio di secoli a soggetti per distinguerli da quelli eterosessuali, considerata la forma naturale, normale data, scontata di affettività e sessualità. Il termine omosessuale, nello specifico, viene coniato nel 1869 dallo scrittore ungherese Karoly Maria Kertbeny al fine di contrastare l’approvazione di una legge prussiana che puniva gli atti tra persone di sesso maschile. In questa prospettiva la sessualità, dunque, viene ufficialmente divisa in due categorie, una, quella etero considerata normale e l’altra, omosessuale, patologica. È così che fino alla metà del ‘900, infatti, si ricorreva a tecniche riparative per curare gli omosessuali con l’obiettivo di convertire nuovamente l’individuo all’eterosessualità. È nel 1973, anno della svolta, che l’ideologia del tempo viene modificata, in quanto si sancisce la depatologizzazione dell’omosessualità: il consiglio dell’American Psychiatric Association, infatti, con un referendum, depenna l’omosessualità dal novero dei disturbi mentali, con 13 voti a favore e due astenuti, considerando che l’omosessualità di per sé non implica alcuna compromissione nella capacità di giudizio, nella stabilità, nell’affidabilità e nelle comuni competenze sociali o professionali (Rigliano, Ciliberto & Ferrari, 2012).
Le scelte dell’APA hanno un seguito importante quando nel 1992 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblica la decima edizione dell’ICD, in cui si ribadisce che l’orientamento sessuale non è un indicatore patologico. Anche nella pratica clinica, gli approcci psicoterapeutici si aprono a considerare l’omosessualità come una semplice variante non patologica della sessualità umana. La sessualità contraddistingue tutti i modi d’essere del soggetto, i suoi atteggiamenti, comportamenti con gli altri anche in assenza di contatto fisico. Sia quella maschile, che quella femminile è una realtà difficile da definire, che non va considerata esterna al soggetto, seppure ne subisce l’influenza.
Fra le sue dimensione più rilevanti troviamo l’identità, cioè l’insieme di significati che ognuno di noi attribuisce ai propri sentimenti ed azioni. I sentimenti, se stabili per un certo periodo di tempo, sono il più importante indicatore dell’orientamento sessuale, che in Italia a seconda del genere, si esprime con le seguenti espressioni: “Sono gay”, “Sono lesbica” o ancora “Sono Omosessuale”. Manifestare apertamente la propria condizione, uscendo allo scoperto non è semplice in una società in cui sono numerosi i pregiudizi nei confronti di coloro che sono attratti da persone dello stesso sesso. L’attrazione può mostrarsi in qualsiasi momento della vita, a qualsiasi età, anche se oggi, nella maggioranza dei giovani appare nella preadolescenza, cioè intorno ai quattordici anni. Il riconoscimento, la consapevolezza e la conseguente accettazione della propria omosessualità è l’esito di un processo molto impegnativo, lento e faticoso, che non tutti riescono a compiere serenamente. Per paura, insicurezza, timore, vergogna, la tendenza comune è soffocare tali emozioni e nascondersi, vivendo nell’ombra. Ostacoli, perplessità e indugi sono molteplici ed è richiesta determinazione e caparbietà perché spesso il confronto con la realtà provoca incertezza, senso di inadeguatezza, disorientamento e sfiducia in sé stessi, ma anche negli altri. L’omosessuale tende a costruirsi un’immagine negativa di sé stesso e può accadere che i sensi di colpa e la solitudine diventino una costante della loro esistenza. Amici e parenti, se contrari ed ostili, contribuiscono ad alimentare e accrescere tali sentimenti, ma se favorevoli contribuiscono ad accelerare notevolmente tale processo.
L’IDENTITA’ DI GENERE
Le dimensioni dell’orientamento sessuale sono riconducibili al comportamento sessuale (con chi ho rapporti sessuali); all’attrazione erotica (chi desidero); alle fantasie sessuali (su chi fantastico), alla preferenza affettiva (di chi mi innamoro); all’autodefinizione (che nome mi dò, in quale comunità/gruppo mi riconosco).
La formazione dell’identità, attraverso questo processo a più livelli, prevede alcune fasi come confusione, disperazione, scarsa accettazione di sé, bassa autostima, fino ad arrivare ad una progressiva accettazione dell’etichetta di omosessuale per autodefinirsi per giungere allo sviluppo di un atteggiamento positivo verso tale identità che porta ad un aumento dei contatti personali e sociali con altri omosessuali. Emerge, dunque, un crescente desiderio di svelare agli altri (familiari, amici, colleghi) il proprio orientamento sessuale, fino ad arrivare alla sintesi dell’identità omosessuale e dei comportamenti omosessuali come parte integrante del più generale concetto di sé.
Anche il processo di coming out interiore, è necessario per spiegare il laborioso percorso individuale che persone LGB compiono e, che può appunto, sfociare nel coming out esterno. Con il termine anglosassone coming out letteralmente “venire fuori”, si intende quel processo che porta una persona a riconoscersi come omosessuale, accettarsi in quanto tale (coming out interno) e dichiararsi agli altri nei termini di un’identità strutturata (coming out esterno), secondo i propri desideri ed il proprio orientamento sessuale. Non a caso la vera origine del termine deriva dall’espressione inglese to come out of the closet che significa “venir fuori/uscire dal ripostiglio”, indicando un momento di rottura rispetto ad una condizione di segretezza e di costrizione. È vero anche che il coming out può assumere un significato diverso in base all’età, al momento di vita. Dunque il coming out esterno sottolinea non solo l’accettazione della propria identità in quanto omosessuale, ma soprattutto in quanto attore sociale e/o politico.
QUANDO RIVOLGERSI AL TERAPEUTA?
Il processo di formazione e di affermazione dell’identità omosessuale, dunque, si snoda su più livelli: sesso, genere, orientamento sessuale, tipizzazione sessuale, ruolo di genere, identità di orientamento sessuale e identità sociale di genere. Viene così riconosciuta l’importanza di un aiuto nell’elaborazione dell’omofobia interiorizzata, cioè l’insieme di atteggiamenti negativi verso la propria omosessualità e nel far fronte al minority stress, uno stress continuativo, conseguenza di ambienti ostili, indifferenti, di stigmatizzazioni e di casi di aggressività e violenza (Lingiardi, Nardelli, 2014).
Secondo Meyer (1995) il minority stress consta di tre dimensioni:
a) omofobia interiorizzata: l’interiorizzazione, più o meno inconsapevole, del pregiudizio che porta a vivere in modo conflittuale la propria omosessualità, fino a volerla negare o contrastare, e addirittura a nutrire sentimenti negativi nei confronti delle persone gay e lesbiche;
b) stigma percepito: quanto maggiore è la percezione del rifiuto sociale, tanto maggiori saranno la sensibilità all’ambiente, il livello di vigilanza relativo alla paura di essere “identificati” come gay o lesbiche, il ricorso a strategie difensive inadeguate;
c) esperienze vissute di discriminazione e violenza, con caratteristiche traumatiche acute e/o croniche.
Mio carissimo ragazzo, tendo le mani verso di te. Oh! possa io vivere per toccare i tuoi capelli e le tue mani. Credo che il tuo amore veglierà sulla mia vita. Se dovessi morire, voglio che tu viva una vita dolce e pacifica in qualche luogo fra fiori, quadri, libri, e moltissimo lavoro. Cerca di farmi avere tue notizie. Ti scrivo questa lettera in mezzo a grandi sofferenze; la lunga giornata in tribunale mi ha spossato. Carissimo ragazzo, dolcissimo fra tutti i giovani, amatissimo e più amabile. Oh! aspettami! aspettami! io sono ora, come sempre dal giorno in cui ci siamo conosciuti, devotamente il tuo, con un amore immortale.
Oscar
(Lettera d’amore di Oscar Wilde all’amato lord Alfred Douglas)