“Alfabetizzazione emotiva”: parola complicata, spesso utilizzata nella pratica psicologica.
Ma che cosa significa in parole semplici?
L’alfabetizzazione emotiva consiste nell’insegnare a conoscere e riconoscere le emozioni, cosa sono, a cosa servono, a come si esprimono e come si possono gestire.
In terapia ci si trova spesso ad immergersi nel mondo interiore emotivo delle persone che incontriamo nei
nostri studi. Un mondo emotivo che spesso è sconosciuto, congelato e si sa…ciò che è sconosciuto spesso lo
teniamo distante, perché difficile da accogliere.
Ma la “trasformazione terapeutica”, intesa come punto di svolta, diviene possibile proprio quando le emozioni possono fluire liberamente e senza costrizioni, quando siamo predisposti nell’accoglierle.
Il padre della tecnica di psicoterapia breve intensiva (ISTDP), Habib Davanloo chiama con il nome di Break
Through l’apertura dell’inconscio e il sentire l’emozione con il corpo. Questo processo consente la
riparazione, la cura, e la trasformazione.
Proviamo a riflettere sulle nostre vite di tutti i giorni, sui ritmi frenetici a cui siamo sottoposti. Spesso capita
di non essere sintonizzati con quello che il nostro corpo “sente” e di conseguenza l’emozione passa in sordina.
Il “sentire” ci appartiene ma è anche quello da cui prendiamo maggiormente le distanze.
Cos’è un’emozione?
La parola emozione deriva dal latino emovère (ex significa “fuori, da” e movère significa “muovere”) ed è possibile tradurla con “portare fuori”. Le emozioni sono reazioni a stimoli che smuovono l’azione.
In termini più specifici, sono risposte psicobiologiche a ciò che accade intorno a noi; ci mandano, quindi, il segnale che qualcosa cambia e ci permette di adattarci al cambiamento. Proviamo ad immaginarle come
campanelli che “suonano” e ci costringono a valutare la situazione intorno a noi.
Perché sono così importanti?
Le emozioni rappresentano un ponte tra mente e corpo, tra psiche e soma. Imparare ad accoglierle,
sentirle, sperimentarle prima nel corpo, riuscire a dare a loro un nome, comprenderle nelle loro sfumature
e riuscire ad utilizzarle come veri e propri strumenti di consapevolezza di sé, dell’altro, della relazione, dello
stato di malattia o di salute , rappresenta una vera e propria cura, innescando circuiti neurali che favoriscono il ben-essere.
Cosa accade se non riusciamo a “sentire”?
Se abbiamo sperimentato un “sentire”, un esprimere e un condividere emozioni come un’esperienza
pericolosa questo porterà a percepire ansia e il corpo reagirà come se quelle emozioni fossero pericolose,
quindi da evitare.
Quando il “sentire” si blocca, quando ci disconnettiamo dalle emozioni, quando le evitiamo tenendole
lontane da noi, stiamo male.
Attiviamo questa difesa più spesso di quanto crediamo. Lo facciamo, ad esempio, quando abbiamo paura di
soffrire, quando ciò che proviamo viene percepito come un pericolo, oppure quando a mandare in “corto circuito” la nostra capacità di sentire è stato un dolore troppo grande o un trauma improvviso.
Le difese che attiviamo, che dovrebbero proteggerci in realtà, in tempi prolungati, ci conducono in uno stato di sofferenza.
Il trauma non risiede nell’evento esterno che induce dolore fisico o emotivo e neppure nel dolore stesso. Il trauma si genera quando non siamo in grado di liberare le energie bloccate e di attraversare, una dopo l’altra, tutte le reazioni fisico-emotive dell’esperienza che ci ha ferito. Il trauma non è quello che ci accade, ma è quello che tratteniamo dentro, in assenza di un testimone empatico (“SomatingExperiecing. Esperienze somatiche nella risoluzione del trauma” di Peter A. Levine, 2014).
In pratica, sono le difese che abbiamo messo in atto che nel tempo a creare i sintomi, sebbene si siano attivate inizialmente per proteggerci. A volte queste difese appaiono rigide e creano malessere.
Diventare consapevoli di esse permette di interromperle e di garantire nuovamente il fluire delle emozioni,
la linfa della nostra vita.
“Le emozioni inespresse non muoiano mai, rimangono sepolte vive ed escono in futuro, in modo peggiore”
(S. Freud)
BIBLIOGRAFIA:
– “Le emozioni che curano” di E. F. Poli, Mondadori, 2020