Nell’emergenza sanitaria con i suoi ritmi e carichi di lavoro intensi, spesso massacranti, con anche una riduzione del confronto con i colleghi, dove le energie individuali sono volte a fronteggiare la situazione del momento attraverso la personale resilienza, si alternano fasi in cui relativamente ci si può rilassare, sciogliere la tensione accumulata quando si era sotto maggior stress.
Nei periodi di grande impegno occorre essere operativi, agire e non c’è il tempo di soffermarsi sulla scarsità di adeguati dispositivi di protezione individuale, sui turni di lavoro massacranti, sulla fatica psicofisica, sulla precarietà organizzativa, sulla carenza di personale, sul timore del contagio per sé e per i propri familiari con il conseguente auto-isolamento volontario e quindi l’assenza del sostegno familiare, sull’isolamento sociale per le misure di distanziamento e quarantena, sui casi di discriminazione per stigma sociale come untori, sul senso di impotenza, frustrazione e inadeguatezza malgrado l’impegno profuso, sul confronto continuo con situazioni di estrema sofferenza e morte.
Medici, infermieri, operatori socio-sanitari hanno a volte evitano di entrare in contatto con le proprie emozioni, per non fermarsi, non c’è tempo.
E’ importante trovare spazi e tempi per elaborare le pressioni ed il carico emotivo, che si vivono nella gestione dell’emergenza, per ristabilire il proprio benessere psicofisico e non rischiare di incorrere nella sindrome da burnout.
Quali sono i campanelli d’allarme che ci devono far chiedere aiuto, ricercare un supporto psicologico se perdurano nel tempo e non sono collegati ad eventi specifici della nostra vita attuale o a caratteristiche abituali: vissuti depressivi e/o ansiosi, attacchi di panico (difficoltà respiratorie, soffocamento, battito cardiaco accelerato), insonnia, incubi ricorrenti, difficoltà di concentrazione, irritabilità, rabbia, incapacità nello sperimentare emozioni positive, sensi di colpa, isolamento sociale, cattiva alimentazione, abuso alcolico e/o di tabacco, ricordi angoscianti frequenti, involontari e intrusivi, relativi a situazioni a forte impatto emotivo vissute durante l’emergenza, flashback in cui si risperimentano come attuali episodi traumatici, disagio intenso o prolungato per tutto quello che ricorda il trauma e conseguente evitamento degli stimoli che lo richiamano, stato di allerta persistente.
Per non cronicizzare la condizione di sofferenza individuale di molti professionisti della cura impegnati nella pandemia e ritrovare il proprio equilibrio psicofisico, può essere utile rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta ed intraprendere un percorso centrato sull’elaborazione dei vissuti traumatici legati alla pandemia del Covid-19.